Eccoci di nuovo qui, pronti a raccontare altre storie di cittadini di “serie B”. Tramite la narrazione delle loro vite, delle loro esperienze, cerchiamo di dare voce a più di un milione di giovani italiani di fatto, ma non di diritto. A coloro che stanno affrontando l’odissea della cittadinanza, la macchina burocratica italiana che non gli permette di essere riconosciuti per quello che in realtà sono: italiani. Oggi vi proponiamo due racconti: quello di Sonia Limas Morais, una ragazza nata a Roma da genitori capoverdiani, e quello di Jovana Kuzman, una giovane nata in Serbia nel 1997 e arrivata in Italia nel 2000.
“Il rinnovo non era arrivato e io non potei andare in gita. Ricordo anche gli appuntamenti in questura. Più crescevo e più ero insofferente, chiedevo a ma madre: perché mi hai fatto nascere qui se poi mi trattano da straniera?” Questa è la storia di Sonia, nata a Roma nel 1990. Anche lei ha dovuto subire la violenza di essere trattata come un’estranea dal suo Paese di nascita. Ai suoi 17 anni, la mamma, terrorizzata dall’idea che potesse essere rimandata a Capoverde, inizia a raccogliere tutti i documenti necessari per presentare la domanda di cittadinanza. “Sono andata alla scuola materna, alle elementari, con le bidelle che si stupivano di tutto quell’iter” che la burocrazia impone. “Hai un unico anno per fare la richiesta, e ti chiedi se ce la farai. Mia mamma era terrorizzata dall’idea che mi rimandassero a Capoverde“, racconta ricordando l’ansia vissuta in quel periodo.
Quando riesce finalmente ad arrivare alla firma del documento, poi, si sente anche in qualche modo sbeffeggiare dalla funzionaria. “Quando ho preso la cittadinanza, la funzionaria mi ha detto: “Complimenti signorina, ora lei è cittadina italiana”. E prima cos’ero? Non ero come i miei compagni, ma non ero nemmeno come i miei genitori. Ho vissuto per diciotto anni in una terra di mezzo“. Questa sensazione, Sonia, la ricorda bene e la definisce un “conflitto identitario“. Lo stesso provato da migliaia e migliaia di ragazzi nati in Italia o arrivati da piccoli.
Esattamente come Jovana Kuzman, una ragazza nata in Serbia nel 1997 e arrivata in Italia nel 2000. “Fino a pochi anni fa nascondevo la mia parte serba, non volevo rischiare di essere additata come la straniera. Sui compiti scrivevo Giovanna, come mi chiamavano le insegnanti. E mi impegnavo di più dei miei compagni, perchè se cresci in Italia, ma i tuoi genitori sono stranieri, non basta essere brava. Devi essere eccellente: perchè sei una straniera, quindi sempre sotto ricatto”, racconta a La via libera.
Nel 2018, quindi dopo 18 anni dal suo arrivo, Jovana fa domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Anche perchè, si può dire, l’Italia è l’unico Paese che conosce. E’ dove è cresciuta. La sua pratica, però, stando al sito del Ministero dell’Interno, dopo due anni è ai primi step. Questo significa che stanno ancora verificando i requisiti. “Non esiste un’indicazione che dica a chi aspetta quanto tempo è necessario per ogni fare: ci si deve limitare ad attendere“, sottolinea ricordando che negli altri Paesi membri dell’Unione europea, invece, è tutto molto più semplice e veloce.
“Sono arrivata in Italia tre anni, qua ho svolto tutto il mio percorso formativo. Eppure per la mia richiesta di cittadinanza e quella di mia madre chiedono gli stessi documenti. Il fatto che io abbia vissuto tutta la mia vita qua per lo stato non fa alcuna differenza“. Con l’entrata in vigore dei Decreti sicurezza di Salvini, inoltre, i tempi di risposta si sono allungati ancora di più, passando da due a quattro anni. Con le modifiche apportate nei giorni scorsi, poi, sono stati ridotti a tre. Per questo il comitato di Italiani Senza Cittadinanza lotta per avere una modifica effettiva della norma, un testo che riconosca in tempi più celeri non solo chi è nato qui e deve aspettare i 18 anni per richiedere la cittadinanza, ma anche chi qui è arrivato da piccolo. Anche perchè l’assenza di una cittadinanza può influire seriamente nel percorso di vita di un giovane. “Sono interessata a diversi tirocini, ma non posso accedervi”, proprio perchè priva di quel riconoscimento, sottolinea Jovana, laureanda in Scienze politiche all’Università Roma Tre.