“L’inclusione, l’integrazione, l’interazione sono importanti perché più una persona viene esclusa da un gruppo, più nutrirà ostilità nei confronti di quel gruppo, verso quello Stato. Ecco perché è importante la Ius soli, perché è importante rendere queste persone italiane”. La storia di Sabrine, una ragazza di origini tunisine nata a Barletta, si aggiunge alla nostra rubrica sui cittadini di “serie B”. Avere la cittadinanza, in Italia, non è un percorso semplice. Per questo, tramite le testimonianze dei tanti giovani italiani di fatto, ma non di diritto, tentiamo di sensibilizzare i nostri lettori.
“Mi chiamo Sabrine, ho ventidue anni e sono un’italiana di seconda generazione. I miei genitori sono entrambi tunisini, io invece sono nata in Italia, a Barletta. Io lo dico sempre: sono italo-tunisina. La mia identità è essere italiana, tunisina, mediterranea, nord africana, africana e araba. La mia identità questo: il fatto di poter essere tutto e il contrario di tutto. Per questo non mi piace dire solamente “sono tunisina” o “sono italiana”: io sono entrambi, non posso non essere entrambi”.
Laureanda in Scienze politiche, Relazioni internazionali e Studi europei, Sabrine ha un forte senso sociale. Per dimostrarlo, nel 2016 ha scritto un libro su se stessa, sulla sua vita, e sul cosa significa essere un italiano di seconda generazione. “Mi sento in dovere di rappresentare una parte della società italiana che viene ignorata. Il problema che ho incontrato fin da bambina, è che la gente italiana con cui mi rapporto, il più delle volte, tende a costruire pregiudizi riguardo ai migranti e ai loro figli. Si sorprendono, però, quando questi stereotipi vengono confutati, e rimangono meravigliati di come una figlia di stranieri riesca a parlare fluentemente l’italiano. Molto spesso gli italiani che ho conosciuto si concentravano sulla mia carnagione, sulla mia origine tunisina, sul chiedermi di parlare in arabo, cosa che mi da tremendamente fastidio. In quelle circostanze, mi sono sentita un fenomeno da baraccone: non solo una scimmietta ammaestrata, ma una persona.
Sono curiosi di tutto, tranne di quello che sono davvero. Quante volte mi sono dovuta sorbire il “per essere tunisina comunque sei riuscita a integrarti bene”. Non ce la faccio più a sentirmi dire: “Per essere tunisina”. Intanto, perchè sono nata in Italia, ma anche perchè mi fanno sentire una ragazza fuori dal comune, come se rompessi uno schema predefinito, molto astratto, che ricade sulla mia vita ogni santo giorno”. Mentre legge queste righe, Sabrine ha la voce tremolante, quasi come se stesse rivivendo quelle sensazioni che tanto l’hanno ferita.
Ha scelto di scrivere un libro perchè, secondo lei, di seconda generazione non si parla. O sicuramente lo si fa troppo poco. “Mi sono esposta per gli altri, perchè si possa capire meglio cosa si prova a essere un italiano di seconda generazione“, ammette a Tv2000 parlando del suo libro.
“E’ ridicolo come in Italia, un Paese di immigrati, di persone che si sono storicamente sempre spostate per lavorare, abbiamo ancora una politica sulla cittadinanza così restrittiva”, afferma paragonando le leggi italiane a quelle americane. “Un milione di ragazzi di seconda generazione, che ancora sono senza cittadinanza, potrebbero fare la loro parte nel Paese”, e invece l’Italia non li riconosce, e non riconosce il loro valore.
“Per poter fare la richiesta di cittadinanza per nascita ho dovuto aspettare i 18 anni, poi dimostrare la mia residenza in Italia sia con il libretto dei vaccini, sia con la frequenza scolastica. Dopodiché, si può dire che l’abbia comprata: ho pagato 200 euro di tasse allo Stato, e 16 euro di marca da bollo. Questa è la cosa che forse mi ha ferita di più: non posso comprare un mio diritto”, dice con tono di rammarico.
“Rispetto a qualche anno fa oggi riesco a guardarmi allo specchio senza disprezzare il mio viso, il mio corpo o i miei capelli. La mia carnagione è diventata qualcosa di cui vado fiera. La cosa singolare è che la mia autostima non è accettata da alcune ragazze tunisine che conosco, perché disprezzano quel mio modo di enfatizzare pubblicamente tutte le caratteristiche che mi rendono così fiera. Loro sono più timide, ma non so dire il perchè. Io mi sono sentita per troppo tempo brutta e diversa, ora sto bene con me stessa e con i miei nuovi amici. Secondo me bisogna cercare di cambiarsi per potersi migliorare. Il cambiamento deve essere un atto volontario, e non qualcosa che qualcuno ti impone. Nessuno ci conosce meglio di noi stessi, e nessuno può dirci come e quando cambiare. La sola cosa che ci può aiutare a essere delle persone migliori, è la cultura: vale per me come vale per tutti gli italiani“, si legge ancora nella sua biografia.
“Credo che la cosa più difficile per i ragazzi come me sia trovare un connubio tra l’essere italiani e l’essere anche di un’altra nazionalità. Molto spesso si pensa che si possa perdere l’essenza di uno a discapito dell’altra, o viceversa. Io invece penso di non aver perso nulla né da una parte, né dall’altra. Più che perdere, la mia è stata una ricerca di equilibrio. Una cosa buona, che mi è servita molto per la mia crescita personale, è stata il fatto di non essere totalmente italiana o totalmente tunisina. Vivere in bilico tra due cittadinanze mi è servito per capire più facilmente che cosa significa avere delle tradizioni e delle culture diverse. Chi non mi vede come italiana, non lo fa nemmeno ora che ho la cittadinanza”, ammette.
Sabrine, poi, sottolinea una differenza che ha riscontrato durante le sue presentazioni. I ragazzi più giovani si sono sempre dimostrati più aperti al dialogo, al confronto e anche all’ascolto. Come se ci fosse una sorta di complicità generazionale. Cosa che invece non ha trovato nelle persone più adulte, la quali spesso e volentieri la interrompevano e le davano contro, senza però spiegare per davvero la loro posizione. “Delle volte mi dicevano semplicemente: “No, non è così”, e basta. Negli adulti ho trovato meno voglia di conoscere“.
Oggi Sabrine ha la cittadinanza, ma questo non le fa dimenticare tutto quello che ha dovuto passare. La sua tenacia, però, la rende in grado si trasformare la sofferenza subita in forza. E questo le permetterà di emergere nella vita.