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Ius Soli, per il governo non è mai il momento giusto per discuterne

Roma, 13 settembre 2021 – In modo ciclico, dalla sinistra arriva un messaggio: “Lo Ius Soli è una priorità”. E, allo stesso modo, dopo alcune settimane di slogan, l’agenda improvvisamente cambia. A quel punto l’immigrazione e la legge sulla cittadinanza vengono momentaneamente accantonate, tenute in un cassetto pronte per essere di nuovo tirate fuori come un vero e proprio slogan quando più necessario. Intanto, però, migliaia e migliaia di persone continuano a essere trattate come cittadini di serie B.

Ius soli, ancora nessuna svolta

“Per noi del PD lo Ius Soli è una priorità. Ci batteremo per farlo approvare in questa legislatura”, aveva dichiarato a marzo Enrico Letta subito dopo aver preso il posto di Nicola Zingaretti in quanto segretario. L’annuncio in un primo momento aveva fatto alzare la voce alla destra, ovviamente. Poi, come da anni a questa parte, tutto è finito nel dimenticatoio. Così, in Italia gli stranieri continuano a rifarsi a una legge del 1992, la 91, che permette ai figli di immigrati nati in Italia di richiedere la cittadinanza solamente al compimento dei 18 anni. E che, al contrario, non prevede il riconoscimento dei percorsi scolastici come requisito per ottenerla. Cosa significa questo? Che un ragazzo che è arrivato in Italia da bambino, che qui è andato a scuola e si è creato una vita, comunque, non ottiene automaticamente il diritto alla cittadinanza, anche se di fatto è italiano.

“Il vero nodo, oggi, è il riconoscimento dei giovani arrivati nel nostro Paese. I nati qui da genitori stranieri prima o poi la cittadinanza la ottengono. Per loro lo scandalo è dover aspettare fino a 18 anni per essere considerati ciò che già sono per cultura, lingua, abitudini. E cioè italiani. Lo abbiamo visto con le Olimpiadi: molti atleti di seconda generazione non possono partecipare alle competizioni della Nazionale. In realtà, nati o non nati su questo suolo, atleti o meno, sono tutti privati di un diritto fondamentale, sentirsi cittadini nel loro Paese”, ha commentato Paula Baudet Vivanco, la leader del movimento #italianisenzacittadinanza. Nata in Cile, si è rifugiata in Italia a 7 anni con i genitori in fuga dl regime di Pinochet nel 1982. Ed è solamente una dei tantissimi stranieri in lotta con la legge sulla cittadinanza.

I numeri parlano chiaro: in Italia sono circa un milione e trecentomila i giovani ancora in attesa della cittadinanza, e per tutti loro è una vera e propria odissea. Una cosa è certa: la legge numero 91 del 1992 necessita di un riforma. Al momento, in parlamento sono bloccate tre proposte di legge a firma Laura Boldrini (Leu), Matteo Orfini (PD) e Renata Polverini. Tutte, ma più in particolare le prime due, hanno un punto in comune: arrivare a uno Ius Soli temperato che permette ai figli di immigrati di ottenere la cittadinanza entro qualche anno dalla nascita, e riconoscere lo Ius Culturae, ovvero il percorso di studi svolto in Italia come requisito sufficiente per vedersi riconoscere la cittadinanza Italia. A oggi, comunque, per l’esecutivo pare che questo non sia un tema da inserire all’interno dell’Agenda di governo.

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