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Ana Laura: “La mia Patria è l’Italia, perché qui ho formato me stessa”

Un’altra storia, un altro racconto che si aggiunge alla nostra rubrica sui cittadini di “serie B”, un progetto che si pone l’obiettivo di far comprendere le difficoltà che gli immigrati di seconda generazione affrontano ogni giorno nel tentativo di ottenere la cittadinanza italiana. Un diritto, e non una concessione, che dovrebbe spettargli. “Sono Ana Laura, ho 20 anni e sono brasiliana. Sono arrivata in Italia nel 2007, ho fatto il liceo linguistico a Trieste e ora frequento Relazioni pubbliche a Gorizia. Sinceramente, mi sento più italiana che brasiliana”, anche perchè “l’Italia è il luogo in cui ho scoperto me stessa, dove la ‘me stessa’ è venuta fuori“, racconta.

“Il mio sogno nel cassetto è il collegio europeo a Bruges. È un percorso lungo e difficile, ma secondo me ne vale la pena. E’ un master di nove mesi, e uscito da lì dovresti essere pronto per affrontare qualche lavoro con l’Unione europea. Per entrarci, però, devo avere la cittadinanza italiana: solo quando l’avrò potrò fare l’iscrizione al bando”. L’Europa e la politica sono argomenti che l’hanno sempre attratta. Studiare all’estero, però, se non si ha la cittadinanza, può essere molto complicato. “Le borse di studio statali vanno solo ai cittadini. Più cresco e più mi rendo conto di quanto questa cosa possa influire nella mia vita. Da piccola non viaggiavamo, quindi non c’era bisogno di documenti. Adesso, a 20 anni, invece, la cittadinanza mi servirebbe per tutto quello che voglio fare come, per esempio, l’Erasmus”.

Gli ambienti della Questura non sono particolarmente felici: non si ha il sorriso quando si entra là dentro, anche perché c’è sempre l’insicurezza di non avere tutti i documenti, dell’attesa che dovrai affrontare. Ogni anno era la stessa cosa: a settembre si faceva la richiesta, e forse a gennaio arrivava il permesso. Abitando a Trieste, poi, a confine con la Slovenia, è immediato dire: “Andiamo in Slovenia”, anche solo per andare a trovare degli amici. Invece senza permesso non si può fare”.

“Negli ultimi mesi mi è venuto in mente di creare questo canale YouTube, con video di discussione in cui io faccio da mediatrice, ma dove racconto anche giornate e flussi di coscienza”. Un portale in cui affrontare temi che coinvolgano direttamente i giovani, non solo gli immigrati di seconda generazione. La prima puntata si occupa proprio di cittadinanza. “A livello burocratico ed emotivo è un tema che mi ha toccato molto negli ultimi anni”, racconta Ana Laura.

L’anno scorso ho fatto richiesta, insieme a mia mamma, per la cittadinanza. Tuttavia c’è stato un problema: apparentemente io sono stata registrata, con il primo permesso di soggiorno, nel 2008. La mia residenza anagrafica in Italia, però, partiva dall’anno dopo, quindi ottobre 2009. Questo significa che, quando ho fatto la richiesta nel 2018, non erano passati ancora i 10 anni necessari. A quel punto, con i miei genitori, ci siamo messi a cercare le prove del fatto che io quell’anno fossi residente, anche perchè frequentavo le elementari, avevo una vita qui. Ovviamente, però, con la burocrazia non funziona così: o c’è il documento, oppure non c’è. Quindi tutti gli sforzi sono stati inutili“.

Io non ho mai sentito la sensazione di essere stata portata via dalla mia Patria. L’Italia è la mia Patria. Ci sono state sicuramente piccole fortune che nel mio percorso mi hanno portato a essere a mio agio e non sentirmi esclusa, cosa che succede invece molto spesso. Io, invece, non mi sono mai sentita diversa.”

“La gente si sorprende sempre anche solo a sentirmi parlare. Mi chiedono: “Sei nata qui?”, e quando rispondo di no si stupiscono. Oppure anche quando, alle superiori, prendevo voti alti, erano straniti. Mi viene da dire che non capivano che sono esattamente come loro, che forse ci distingue il colore della pelle e un background diverso. Questo sottolinea il fatto che dobbiamo sempre dimostrare qualcosa in più”, ammette a Tv2000.

Penso che sia bello vivere la diversità. È bello che siamo tutti diversi, forse è una frase fatta ma secondo me è veramente bello. Se fossimo tutti uguali, se provassimo tutti le stesse emozioni, non ci sarebbe il progresso. La diversità crea vita, confronto, crescita. Ecco, la diversità per me vuol dire crescere, capire gli altri, comprenderli e interagire con loro e scoprire altri modi di vedere la vita che magari non avevo preso in considerazione perché non ho avuto occasione, perché i libri non dicono tutto”, conclude.

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